MILANO E IL MADE IN ITALY: LA MIA STORIA D’AMORE
- Daniel Giaconia

- 18 set 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Milano è famosa per essere la culla del design, dello stile e della moda e sono fiero di poter dire di essere nato lì. Ma non è certo nella Milano bene che sono cresciuto, anzi: il mio parco giochi è sempre stato il magazzino dell’azienda di famiglia e i miei compagni di gioco gli operai di mio padre. Mi sembra ancora di poterli sentire: “Daniel, vai via da lì” oppure “Daniel, attento alle mani” e mi sembra ancora di sentire le mani di mio padre che mi prendeva per le orecchie per portarmi via.
Sono cresciuto lì, tra le macchine da cucire ed i bancali di pelle e ci è mancato davvero poco che sopra quei bancali ci nascessi visto che mia madre ha lavorato fino all'ultimo giorno e se non fosse stato per un collega premuroso avrebbe partorito lì, proprio in quella che poi è diventata la mia casa.

Eh sì, perché dopo aver finito (a fatica) le scuole sono entrato subito in azienda e ho iniziato a lavorare fianco a fianco, o sarebbe meglio dire sotto, quelli che fino a qualche anno fa erano i miei compagni di gioco; infatti mio padre mi ha fatto entrare in azienda partendo dal gradino più basso, dal lavoro più umile che ci potesse essere: liberare le postazioni dagli scarti di pelle e buttarli nei cassonetti.
Immaginate un ragazzo di 18 anni, figlio del “padrone” che porta fuori la spazzatura: se dovesse succedere ora sembrerebbe un film comico, E invece è andata proprio così. Al momento mi ricordo che non la presi benissimo: volevo fare, imparare, creare come mio padre e invece dovetti mettere da parte il mio spirito di iniziativa, abbassare la testa e obbedire.
Se non sai fare non sai comandare
Da quel momento ho iniziato un lungo apprendistato di quasi 10 anni che mi ha permesso di imparare a riconoscere tutte le materie prime: pelli, metalli e tutto ciò che coinvolge la produzione e, soprattutto, di poter prendere in mano, al termine del mio lungo apprendistato, la produzione dell'azienda. L'ho presa in mano con cognizione di causa e soprattutto con il rispetto degli operai perchè la conoscevo sotto tutti i punti di vista, avendo lavorato praticamente in ogni postazione. Chi non sa fare non sa comandare cita un famoso proverbio ed è proprio questo il mio caso.
Questa formazione, partita dal basso, mi ha permesso di avere anche un grande vantaggio nel momento in cui ho cominciato a disegnare gli articoli, ideare le cinture e le collezioni; ormai con una sola occhiata sapevo riconoscere tutti i tipi di pellame e sapevo quale scegliere per effettuare un certo tipo di lavorazione.
Gli addetti al lavoro capiranno di cosa parlo: come ad esempio usare un ottimo pieno fiore vegetale, ricco di grassi ed oli, per far sì che il materiale reagisca al calore di una stampa o di una cucitura marca punto. Per non parlare poi della scelta degli accessori: selezionare una zama piuttosto che un ottone o un argento a seconda del target da servire. Tutti dettagli che non possono essere lasciati al caso, soprattutto quando lavori per grandi marchi che, giustamente, non ti concedono mai la seconda possibilità.

La mia lunga gavetta mi è servita anche per entrare meglio in sintonia con i miei clienti, dovendo interpretare di volta in volta un marchio classico, un marchio casual ed entrare nel DNA, nell'essenza dell’identità di ogni singolo brand per poterlo interpretare al meglio e realizzarlo sotto forma di cintura.
Anche perché diciamocelo come se fosse una confidenza di un amico al bar, la cintura è una degli accessori più difficili da realizzare e soprattutto da “caratterizzare”; in fin dei conti non è che una striscia di pelle con una fibbia e non è un caso che nella maggioranza dei casi l’unica differenza tra una e l’altra sia il marchio sul cartellino. Ed è questo che rende la sfida entusiasmante: non mi sono mai piaciute le cose semplici, le vie più scontate.
Il rally: una palestra di vita
La mia anima da rallista ha sicuramente influito in questo caso: in una gara di rally, se vuoi vincere, devi osare più degli altri e puoi farlo solamente se ti sei allenato a fondo; non puoi limitarti a cercare la strada più semplice o la più sicura. E io ho sempre voluto vincere; la maggior parte delle volte è stato così ma mi ricordo benissimo anche le botte che ho preso quando sbagliavo: curve troppo strette, frenate in ritardo e la differenza tra l’arrivo e un fosso sta tutta lì: esperienza e conoscenza.
Lo sport mi ha insegnato moltissimo e non è un caso che ci siano tantissimi imprenditori che vengano dal mondo dello sport agonistico: li riconosci dal piglio più aggressivo che molto spesso li porta ad essere i migliori.
Ma è grazie a mio padre se conosco ogni angolo del mondo della pelletteria e se sono stato definito lo specialista nella produzione di cinture per i brand.
Lo ringrazio e lo ringrazierò sempre per tutto quello che mi ha insegnato, anche se adesso non lavoriamo più sotto lo stesso tetto.
Infatti dico sempre che il covid è stato un acceleratore e un esasperatore: chi aveva un cattivo stato di salute ha avuto un peggioramento, le aziende che già claudicavano sono andate in crisi e persino alcuni rapporti che prima del covid erano tesi sono arrivati alla rottura. Quest’ultimo purtroppo è il mio caso: dopo 28 anni (di cui 20 da presidente) ho lasciato l’azienda di famiglia perché non c’era più sintonia in generale, anche sulla visione del futuro, già da un paio d’anni.
Ho deciso di aprire una nuova azienda, investendo su me stesso, sui miei collaboratori e dando vita ad un nuovo progetto dove finalmente mi sento libero.
Le cinture per me sono una questione seria
E se sono qui, ora, a scrivere questo articolo è perché voglio fare finalmente luce sul mondo delle cinture.
In quasi trent'anni di esperienza ho conosciuto moltissime persone e lavorato per tantissimi clienti, non immaginate le storie che alcuni mi hanno raccontato; alcune restano più impresse di altre e ti fanno proprio accapponare la pelle.
Un mio cliente, azienda multinazionale del settore delle valigie, di cui ovviamente per ragioni di privacy non farò il nome, mi ha raccontato che ha rischiato un procedimento penale perché il suo fornitore aveva sbagliato a timbrare una cintura; “OPS”, ha detto il fornitore, ma se ci pensi bene il buyer avrebbe regalato un procedimento penale all'amministratore delegato del grande brand.
Come in tutte le cose, anche nel mondo della pelletteria, ci sono tantissime persone che si spacciano per specialisti e altri che lo sono veramente, ma la differenza che ci passa nel mezzo è tutto.
Prova a pensare alla differenza che c’è tra un medico di base e un cardiologo: se hai un problema di cuore a chi ti affidi? Per chi sei pronto a spendere? Scommetto di sapere la risposta. Perché però molto spesso non poniamo la stessa attenzione anche in altri ambiti?
Non starò qui a farti un pippone, sul web puoi trovare tantissimi guru che puntano solo a gonfiare il proprio ego.
Io sono qui perché voglio aiutarti e farti aprire gli occhi su alcuni aspetti del mondo della pelletteria che forse ignori.
E in questo momento storico, dove tutti stiamo pagando a caro prezzo le conseguenze di mesi di lock-down e paura dei consumatori, ho pensato che fosse doveroso iniziare proprio dall'importanza del Made in Italy e dalla sua protezione.
A breve uscirà un video sul mio canale Youtube che spiegherà in parole semplici questa difficile normativa mentre la prossima settimana pubblicherò sempre qui sul blog un articolo più dettagliato, dove potrai trovare alcuni importanti suggerimenti per il rapporto con i tuoi fornitori.
Se hai suggerimenti, consigli o anche critiche ti aspetto, non essere timido: scrivimi pure all'e-mail danielgiaconia@outlook.com oppure contattami sui miei canali social Linkedin e Facebook.





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